L’irezumi era il tatuaggio punitivo imposto ai prigionieri. Essi venivano tatuati, spesso in volto o sulle braccia, con simboli che identificavano il crimine o la condanna a cui erano stati sottoposti.

Tale pratica è stata imposta anche alla classe degli hinin :coloro che svolgevano mestieri considerati impuri o che avevano a che fare con la morte (macellai, becchini, boia etc.) e per questo considerati una classe inferiore e soggetta a leggi particolari.

La marchiatura punitiva venne vietata all’inizio del 1700 da Yoshimune, ottavo shogun del clan Tokugawa.

Il tatuaggio artistico in Giappone venne definito dai tatuatori stessi col termine horimono (oggetti intarsiati) equiparandolo al lavoro degli incisori ukyo-e, con l’intenzione di distinguerlo da quello legato alle pratiche punitive. Oggi hirezumi identifica il tatuaggio giapponese e non ha più connotazione negativa.

Il tatuaggio non punitivo nasce nei quartieri del piacere di Kyoto dove le prostitute e le geisha mostravano la loro dedizione ai clienti prediletti tatuandosi i nomi dei loro amanti. Il. tatuaggio si diffuse nell’epoca Edo tra gli innamorati che lo consideravano un gesto romantico. Molti lo dedicavano a dei e divinità, scegliendonsimboli religiosi.

Da semplici puntini e kanji i disegni sul corpo diventarono sempre più elaborati e presto, sempre nel periodo Edo, divennero delle vere opere d’arte su pelle. I primi tatuatori che imitarono l’ukiyo-e (scuola pittorica giapponese fiorita dal 17° al 19° secolo che aprì agli influssi dell’arte occidentale descrivendo scene della vita quotidiana, del teatro kabuki e delle case di piacere) furono gli incisori, coloro che intagliavano le matrici nei blocchi di legno che poi servivano per le stampe dei disegni ideati dai pittori.